| Dopo aver letto completamente il numero 2, posso dire con certezza che ci siamo! Azzarello ha uno stile che ho sempre apprezzato (in generale intendo), ossia quello di spargere dettagli nelle sue storie, senza far dire ai suoi personaggi: "vedi quel dettaglio lì, significa questo e quello". E così ci si ritrova a vedere, magari, una scena in un episodio che apparentemente sembra del tutto scollegata, e poi invece numeri più avanti acquista un senso. Stesso discorso per i dialoghi, del tutto privi di spiegazioni non naturali, se non quelle che si carpiscono dalle parole che si scambiano i personaggi. E comunque rimangono ermetiche. Si sente parlare di Minuteman, ma si capisce un brandello alla volta cosa siano. E comunque non si comprende del tutto. Ci sono cose che ancora non si sanno. Come dicevo è lo stile che ho sempre apprezzato. Quello utilizzato anche da Philip K. Dick. Quello che ti catapulta dentro la storia senza riferimenti, se non nomi buttati lì, che inizialmente dicono poco o niente, ma piano piano vengono assorbiti dal lettore e acquistano senso. Per Philip K. Dick era un modo (per mia opinione personale) di farti sentire l'estraneità dei mondi in cui sono ambientati i suoi racconti/romanzi. E' un sistema valido, perché i suoi "universi" sono molto distanti dal mondo reale, pur mantenendo qualcosa di quello che fu (spesso identificabile nelle relazioni tra i personaggi). E come ti ritroveresti, tu, se improvvisamente verresti catapultato in una realtà che differisce per molti aspetti dalla tua? Se tutto fosse spiegato filo per segno si perderebbe l'effetto shock da una parte, e il desiderio di comprendere meglio quello che per i personaggi dei racconti/romanzi sono invece dati di fatto. La scoperta, ecco a cosa porta. Scopri piano piano le cose. E' un po' come fare un viaggio e recarsi in un posto di cui si sa poco o niente. E cominciare a carpire le cose osservando, parlando o semplicemente ascoltando discorsi. E anche se prima di recarsi in un posto possiamo ormai leggere diversi testi, o farci raccontare come è, da chi ci è stato, comunque andarci di persona è tutta un'altra cosa. Il mistero. Altra cosa fondamentale. Non quel mistero volutamente celato, alla Lost, per intenderci. Che è più per effetto, per usare parole di nemon: "per far dire alla gente: oooooooooooh". Ma quel mistero naturale, perché certe cose non puoi leggerle sui giornali o sulle guide turistiche, ma puoi soltanto viverle. Anche in 100 Bullets ci si ritrova in mezzo ad un mondo distante dalla nostra realtà. Non perché, come nei racconti/romanzi di Dick, sia fantascientifico. Bensì perché è una realtà che difficilmente, molti di noi, hanno potuto vivere di persona.
Passiamo ai dialoghi. Il linguaggio è da strada, dato che riguarda più che altro gang e robe simili. Farcito ovviamente di vocaboli scurrili. La sensazione, però, non è di trovarsi di fronte a discorsi d'effetto, dove le parolacce vengono, più che altro, utilizzate per enfatizzare le frasi. Per così dire: alla Tarantino. Per carità, a me piacciono i dialoghi tarantiniani, ma è chiaro che siano estremizzati. Mentre in 100 Bullets appaiono più normali, o, per meglio dire, più reali. Non è che conosca bene come si esprimono gangster e criminali vari. La mia è solo una sensazione del tutto personale. I scambi verbali, poi, hanno qualcosa di potente, che ti entra dentro!
Ed infine i disegni. Qualcuno mi ha detto che lo stile sembra quello di Sin City. E difatti, se vogliamo, è così. Anche se a colori, ci sono molti chiaro/scuri. Neri netti con dettagli di altro colore. Quello che molti non sanno è che Risso ha sempre avuto uno stile del genere. Quindi, forse, sarebbe più giusto affermare che Sin City sia ispirato al suo disegno, piuttosto che il contrario. I chiaro/scuri di Risso riescono ad emozionare, oltre che a mettere in evidenza i particolari. E così fori di proiettili su una persona appaiono molto evidenti. Così come, spesso, viene messa in evidenza un'espressione facciale.
Ed ora una curiosità, non vi preoccupate, non c'è nulla di particolarmente spoileroso. In un episodio si vede il tizio protagonista riportare una spilla ad una bella ragazza ricca, facente parte di un'organizzazione finanziaria, o cose del genere. Sulla spilla si vede chiaramente un palmo di una mano, e sopra il palmo riportato il numero romano: XIII. Ora io non ho letto XIII, e non so di cosa parli, ma il riferimento credo non sia del tutto causale.
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